Antonio Canova - Ritratto di Giovanni Calandrelli

Antonio Canova - Ritratto di Giovanni Calandrelli

Opera non disponibile

 

Antonio Canova
(Possagno 1757 – Venezia 1822)

Ritratto di Giovanni Calandrelli

1805

Cera su lavagna, cm 10,7 x 7,2

Iscrizione antica a penna su carta, incollata sul verso: Ricordo del mio amico Antonio Canova, che mi fece il 5 agosto 1805 Calandrelli

Nel Panegirico ad Antonio Canova redatto a partire dal 1810, Pietro Giordani aveva assegnato alla ritrattistica un ruolo fondamentale nell’opera canoviana. L’artista veneto infatti aveva saputo secondo Giordani congiungere emblematicamente passato e futuro per aver da un lato rappresentato eroi e divinità della “veneranda” antichità, dall’altro per aver trasmesso alle generazioni successive memoria del suo secolo effigiando nel marmo i volti delle donne e degli uomini illustri contemporanei. Canova aveva dunque interpretato magistralmente il compito che il letterato piacentino riconosceva alle arti: “dacchè elle portando a noi il meglio delle età passate e congiungendo la nostra alle avvenire, riparano in qualche modo alle ingiurie della natura; e alcuna parte di vita alle umane generazioni prolungano; quando ciò che a’ mortali è più caro, la vista della bellezza e la memoria della virtù, sottraggono dalla comune morte” (Giordani 1854-63, vol.IX, p.23).

Rispondendo però nel 1830 allo scultore Pietro Tenerani, che si era offerto di eseguire il suo ritratto, Giordani motivava la sua inguaribile avversione ad essere effigiato ricorrendo alla teoria classicista dei generi che voleva il ritratto collocato sul gradino più basso della gerarchia della dignità artistica, in quanto legato alla copia del reale e non al nobile esercizio della scelta dalla “belle natura”, che consentiva la creazione di bellezze superiori e ideali. A questo proposito ricordava anche la “ripugnanza” di Canova nel frequentare questo genere artistico e aggiungeva che gli artisti maggiori dovevano dedicarsi esclusivamente alle più gravi occupazioni della scultura d’invenzione (Raggi 1880, p.563).

Giordani avrebbe forse disapprovato che il “divino” Canova potesse attendere a un’opera minore come il ritratto in cera. Per noi invece si tratta di una preziosa reliquia del genio canoviano e la sua scoperta costituisce un evento straordinario.
Che l’autore sia Canova è dichiarato esplicitamente dal cartiglio antico apposto sul verso della sottile lastra di lavagna che funge da supporto e sfondo del ritratto. Mi sembra che questa testimonianza si possa ritenere degna di fede, non tanto sulla base del confronto con le cere sopravvissute di Canova – i bozzetti del gruppo di Ercole che saetta i figli e del Monumento di Francesco Pesaro (Venezia, Museo Correr), modellati nel 1799 durante il soggiorno a Possagno, e quello del Monumento a Orazio Nelson ( Possagno, Gipsoteca), realizzato tra il 1806 e il 1807 (Ravanello 1976, pp.103, 105, 116; Pavanello, Schede in Mazzocca – Pavanello – Romanelli 1990, pp.169, 173 e ss.) –, quanto piuttosto con la ritrattistica di maggiori dimensioni, di cui reca l’impronta. Il volto non inclina alla cesellata raffinatezza del medaglista. I dettagli sono delineati con sobrietĂ , come nel caso delle sommarie ciocche di capelli, vicine a quelle della testa del Damosseno (CittĂ  del Vaticano, Musei Vaticani) e del Busto di Napoleone dell’Ermitage. L’attenzione è volta soprattutto all’incisiva modulazione dei piani, forte e decisa come nei ritratti “eroici” di Napoleone o di Giuseppe Bossi dei quali Cicognara descriveva l’enfatizzata prominenza delle “ossature della fronte, l’incassatura degli occhi, il taglio della bocca, la squadratura delle mascelle, la forma del mento” come i caratteri del “grandioso stile” (Cicognara 1824, pp.161-162). Le dimensioni ridotte per questa piccola cera non contano. Il carattere e il rilievo rimandano allo stile della scultura monumentale.

Essa fu eseguita per svago, come omaggio a un amico e forse per desiderio di cimentarsi con una tecnica familiare piuttosto a quest’ultimo, verosimilmente da indentificare con l’incisore di gemme Giovanni Calandrelli (1784-1852), attivo a Roma fino al 1832, quando si recò a Berlino alla ricerca di un’affermazione professionale meno ostacolata dalla concorrenza della piazza romana (Bulgari 1958, p.226; Frank 1997). Secondo l’iscrizione l’opera fu compiuta nell’agosto del 1805, quindi durante una tappa del viaggio a Vienna compiuto da Canova tra maggio e novembre di quell’anno. Durante la sosta a Firenze, proprio in quell’occasione, egli stesso fu ritratto in cera da Giovanni Antonio Santarelli (Casarosa 1981, p.59).

Stefano Grandesso

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