Giulio Aristide Sartorio - La famiglia o Mattina a Fregene

Giulio Aristide Sartorio - La famiglia o Mattina a FregeneGiulio Aristide Sartorio
(Roma 1860 – 1932)

La famiglia o Mattina a Fregene

Olio su tela, cm. 200 x 90

Firmato e datato in basso a destra: G A SARTORIO MCMXXIX FREGENE.

Bibliografìa: Bertini Calosso 1933, tav. XLVIII, cat. n. 157; Roma 1961; Roma 1972-73, cat. 21; Spadini 1973.
La lunga storia espositiva del dipinto è legata alla risonanza critica della produzione post bellica di Sartorio che come scrive Bertini Calosso nel 1933 presentando la mostra postuma dei quadri del pittore è “come volta alla comprensione di ciò soltanto che è essenziale”. La famiglia, Fregene sono temi indagati fra il 1926 e il ’29 da Sartorio in un continuo dialogo fra fotografia e pittura ad esempio nel dittico Presentimento del 1927 o inFregene, “frammento” di realtĂ  inserito dal pittore in Gioia di vivere esposto nel 1927 alla Galleria Dedalo di Milano (Milano 1927, nn. 1-3). Accanto a Mario De Maria e Francesco Paolo Michetti, fra gli altri, Sartorio sperimenterĂ  la fotografia come mezzo attivo di espressione e di studio di inquadrature e di emozioni. La regia del taglio oblungo sottolineato dall’orizzonte alto appena marcato, rimanda ad una serie di studi fotografici che il pittore compì intorno al 1927 e al citato trittico La gioia di vivere sempre di quegli anni (Miraglia 1981, p. 449 figg. 600-602). Anche nell’olio qui presentato Sartorio adotta un asimmetrico punto di vista che gioca sull’effetto di allungamento sinuoso delle figure sottolineato dagli sbattimenti di luce sulla sinistra e sulle trasparenze dei panneggi. Il gruppo della madre con il figlio in braccio qui isolato in un dialogo intimo e familiare, era giĂ  stato utilizzato da Sartorio nel 1926 in FestivitĂ .

Le analogie con il prototipo fotografico si riconoscono nell’isolamento di una particolare qualità di luce e di tempo che fissa un frammento di vita e le sue emozioni sulla tela con la freschezza dello scatto. La sapienza nell’uso della tecnica fotografica permette a Sartorio di ricomporre su tela l’essenza dell’immagine tutta giocata sul delicato trapasso dei piani e trasparenze atmosferiche. D’altra parte proprio Sartorio amico di Primoli, Michetti e W. Von Gloeden dedicò alla fotografia un posto da protagonista nel suo romanzo Roame carrus navalis uscito per i tipi di Treves nel 1905: dalla voga per i tableaux vivants con cui Sartorio gioca nel dar vita ai suoi significati simbolici passando dai fotogrammi del Mistero di Galatea agli oli, la tela in oggetto rende conto dell’acutezza tecnica con cui il pittore sperimenta la possibilità di dialogo fra le due arti. L’olio in oggetto si cala nel contesto di un’“esistenza sopravvenuta, circondata com’è da una famiglia felice formatasi dopo la guerra” che nelle parole di Sartorio è vista come una “palingenesi” in cui il pittore chiede di “esprimere l’attualità e significare i sorrisi dell’ottimismo” (cit. in Bertini Calosso 1933, p. 19). Il dialogo fra fotografia e arte trova ancora possibilità di sperimentazione e verifica nella griglia chiaroscurale e compositiva che appartiene alle due arti lasciando alla pittura la possibilità di prosciugare la verità del fotogramma nella sinuosità della linea e nella trasparenza luminosa della materia.

Serenella Rolfi

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